Numerose prese di posizione da parte di leader religiosi

LONDRA (UK) – Venerdì 29 novembre alla Camera dei Comuni il disegno di legge sul suicidio assistito ha superato il primo passaggio parlamentare con 330 voti a favore e 275 contrari con un consenso trasversale. Serviranno ancora diversi mesi, e almeno un passaggio alla Camera dei Lord, con possibili emendamenti, affinché il Terminally Ill Adults (End of Life) Bill possa diventare legge. Nel frattempo è aperto il dibattito anche nella società e nelle Chiese.

La Chiesa metodista ha ribadito la propria posizione contraria a un cambiamento dell’attuale legge, pur non nascondendo il dibattito presente al suo interno, fin dal 2015, quando la materia era già stata affrontata l’ultima volta dalla Camera dei Comuni. In quell’occasione, la Conferenza metodista discusse in merito, ed emersero posizioni molto diverse. C’era sicuramente un consenso unanime nell’affermare il valore intrinseco della vita umana e l’importanza delle cure palliative, ma alcune mozioni presentate evidenziarono orientamenti opposti: da un lato chi credeva che la legge dovesse consentire il suicidio assistito, dall’altro chi vedeva questo passo come «un terreno scivoloso» (la stessa espressione usata dall’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby). Secondo questi ultimi, la morte assistita «avrebbe un effetto estremamente dannoso sul benessere degli individui e sulla natura e la forma della nostra società, e potrà solo aumentare la pressione che molti malati terminali sentiranno». I favorevoli invece sottolineavano che «laddove la morte sia considerata certa e imminente, potrebbe essere appropriata una dispensa giudiziaria compassionevole e dovuta per consentire un fine vita assistito».

Il Consiglio metodista, recepito dalla Conferenza l’esito del dibattito, «decise di non rivedere la posizione della Chiesa, ma chiese di produrre delle risorse per consentire di rispondere meglio alle esigenze di coloro che hanno bisogno di cure palliative e di comprendere le questioni coinvolte, nel contesto più ampio della materia legata alla morte e al morire».

Ora, all’indomani della prima approvazione della legge, vi sono numerose dichiarazioni dei leader delle Chiese. I più esprimono preoccupazione, sia per il rischio che la legge sia l’apripista per un’ulteriore “liberalizzazione” verso l’eutanasia, sia per la pressione che si teme porterà sui malati terminali e i medici. Già alcuni giorni prima del voto, il 24 novembre, numerosi leader di diverse religioni (cristiani, ebrei, musulmani, indù, sikh…) si erano espressi in una lettera aperta in cui evidenziavano, tra l’altro, il timore che i più fragili siano sottoposti a indebite pressioni o che comunque, sentendosi un peso, siano portati a «porre fine prematuramente alle loro vite». Ci sono anche i timori per «conseguenze non volute» (come già accaduto in Oregon e Canada) per esempio nei casi di donne vittime di abusi.

All’indomani della votazione, diversi vescovi della Chiesa cattolico-romana si sono dichiarati sgomenti e sperano che il disegno di legge, di cui temono alcune clausole particolari oltre a non condividere la linea di principio, venga bloccato nei passaggi successivi. Anche da parte dell’Alleanza evangelica si sono levate voci contro la “normalizzazione del suicidio” e il rischio coercizione per persone già vulnerabili.

Anche da parte dei vescovi anglicani ci sono state dichiarazioni, ma qui le posizioni sono più diversificate e sfumate. Diversi di loro hanno manifestato preoccupazione per un possibile cambiamento dei rapporti tra Stato e cittadini, tra medici e pazienti, e all’interno delle stesse famiglie, ritornando sul tema della “china pericolosa”. Preoccupazioni anche su come la legge, se approvata, sarà messa concretamente in pratica.

Altri sono più possibilisti: la vescova di Londra, Sarah Mullally, per esempio (già firmataria della lettera sopra citata), con la sua lunga carriera nella sanità pubblica alle spalle in ambito infermieristico, ha visto il dibattito in Parlamento (in cui sono state portate anche toccanti testimonianze personali) con un occhio speciale, ricordando che la prima risposta di fronte al dolore dei malati terminali dovrebbero essere cure palliative di qualità, su cui occorre investire, mentre attualmente «il sistema sanitario, di assistenza sociale e legale è sovraffollato e sottofinanziato», come ha dichiarato subito dopo il voto.

Tra le poche voci dichiaratamente a favore, quella dell’arcivescovo George Cary (già arcivescovo di Canterbury), che ha rilasciato dichiarazioni al Times e al Sunday Express, richiamando innanzitutto la responsabilità dei membri del Parlamento nel garantire i diritti delle persone sofferenti, senza trionfalismi da un lato o «sporchi trucchi» dall’altro. Anch’egli ha sottolineato l’importanza che il governo investa nel miglioramento delle cure palliative e degli hospice.

Raggiunto telefonicamente, il Vescovo Primate della Chiesa Protestante Unita, M. Rev. Andrea Panerini, ha dichiarato che «il Sinodo della Chiesa Protestante Unita non si è mai ufficialmente espresso sull’argomento ed è possibile la nomina di una Commissione sul tema. Sto seguendo attentamente la vicenda britannica. A titolo personale devo dire che in ogni discussione su suicidio assistito ed eutanasia vi è una profonda contrarietà a livello etico da un punto di vista cristiano, ma anche da una prospettiva laica vi è, nel nostro mondo capitalistico, un concreto pericolo che questi istituti siano usati, al pari della Germania nazista, a ridurre i costi per indurre le persone più fragili e considerate “non produttive” a usarli. Bisognerebbe invece investire di più nella sanità, nella terapia del dolore e in quelle palliative. La questione non è – conclude Panerini – l’ideologia di avere il controllo della propria vita e della propria morte (già discutibile in un’ottica cristiana) ma il mascherare una nuova eugenetica e un inaccettabile darwinismo sociale portato alle estreme conseguenze».

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