Ogni cristiano riconosce che Dio “Padre Onnipotente”, l’onnipotenza di Dio non è un dato messo in discussione. Partendo da questa verità non solo di fede, ma anche filosofica, di ragione, l’essere necessario, l’essere con tutte le qualità non può che esistere, ecco, partendo da qui comprendiamo bene quanto, come sostiene recentemente Papa Francesco, l’unità dei Cristiani è un Dono dello Spirito Santo.

Vorrei partire proprio partendo l’accento sulla parola “dono”: un dono è un regalo che nessuno merita, che nessuno ha il diritto di vantare, non è un diritto, è una spontanea elargizione, è anche, in qualche modo, una sorpresa. Ma verrebbe dunque da pensare che quindi il cristiano, di qualsiasi religione, debba attendere inerme, aspettando che, per grazia divina, l’unità dei cristiani avvenga. Ma, come si afferma ai bambini, “i regali bisogna meritarseli”. Quindi da un lato abbiamo una unità che non è affar nostro, nel senso che dobbiamo continuamente avere davanti agli occhi il fatto che non dipendente pienamente da noi e dai nostri sforzi, ma è un Dono di Dio, dall’altra parte dobbiamo concentrarci, come per la fede, a continuare a chiederlo, questo dono, a richiederlo, a implorarlo, come appunto un bambino non ha possibilità economiche ma vuole continuamente dimostrare ai proprio genitori quanto tiene a quel giocattolo.

Siamo partiti proprio parlando di Dio Padre Onnipotente per ricordare, per ricordarci in continuazione che l’unità dei Cristi potrebbe avvenire subito, ipso facto, in un istante, senza alcun bisogno di intervento umano. Dio potrebbe realizzarla istantaneamente senza alcuno sforzo o difficoltà. Sarebbe nelle sue piene prerogative. E allora ci domandiamo perché questo non sia avvenuto. Al di là di un atteggiamento secondo me erroneo, ossia quello di reciproche scomuniche e colpevolizzazioni (questo sì, infantile, del tipo: “è tutta colpa tua”) una delle più plausibili ragioni è data dal fatto che in questo modo Dio ci invita continuamente da un lato a rapportarci con altri fratelli nella fede, non chiudendoci in una casa dorata, e dall’altro lato ci obbliga continuamente a rivedere la nostra fede, a dialogare, a non considerarla una verità che “funziona” a prescindere. Un po’ per tornare all’esempio dei giocattoli, come quelle macchinine che necessitano in continuazione d’essere cambiate di batterie perché si scaricano. Ecco, i cristiani tutti sono proprio chiamati a credere, certo, nella propria dottrina, ma non a darla per ovvia, perché questo la incancrenisce, questo la rende arida, non la rende capace di creare fermento in quanto non è oggetto di discussione, non nel senso di dubbio o polemica, quanto oggetto di contemplazione, di bellezza.

E’ l’approccio di chi sa riconoscere l’immensità di ogni singola proposizione di Dio e anche laddove differisce per interpretazione o convinzione o dogma rispetto ad altre confessioni, non vede tutto questo come un limite all’amore, non lo percepisce come una separazione, ma come un incoraggiamento a mettere Dio al primo posto non nella forma di una bandiera, ma in quella di un fazzoletto, non dunque servirsi di Dio, non appropriarsene, il rischio di un’unità delle fedeli di forma, ma immatura nella sostanza, ma riconoscere la comunione esistente nella caducità della natura umana, riconoscere la fragilità di possedere assolutismi, e in questo modo riconoscere la sua unica Onnipotenza.

Prima di essere pecore di questo gregge, dovremmo tutti sentirci pecorelle “dell’altro gregge” di quell’altro gregge che il Signore non abbandona. Ognuno dovrebbe sentire che anche Lui “non è abbandonato” e non “che anche gli altri non sono abbandonati”. Infine il pluralismo delle confessioni continua a interrogarci, a scuoterci, a spiegarci che dobbiamo continuare a fare teologia, che Dio è troppo grande per qualsiasi soluzione semplice, che indagare su di Lui significa cercarlo con cuore sincero, e che questa ricerca non è un percorso che porterà a un risultato, ma è già in se stesso il grande risultato voluto dal Signore, è il Suo modo per mostrarci la grandezza nostra e insieme piccolezza nostra: “Piccolezza nostra perché non siamo Dio, grandezza nostra perché siamo in Dio”.

Matteo Salvatti

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