Bergoglio: analisi di una figura controversa e il mito del papa progressista

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22 Aprile 2025

Un papa quando muore ha la fortuna di non ascoltare l’ipocrisia e la retorica che potenti e mezzi di comunicazione imbastiscono sopra la sua salma. Al funerale di Bergoglio, sabato prossimo in Vaticano, ci saranno personaggi come Trump, Milei e Salvini (solo per citarne alcuni) che non solo hanno contrastato le sue parole e hanno improntato la loro azione pubblica a valori diametralmente opposti ai suoi ma che non hanno perso occasione di insultarlo per ricavarne vantaggi politici e qualche pugno di voti in più, giocando sul malessere sociale e sulle paure da loro stessi provocati.

I mezzi di informazione hanno subito santificato e omaggiato la figura del pontefice defunto, oltre sicuramente quello che lo stesso Francesco avrebbe gradito e mostrando, con comici interventi, la loro notevole ignoranza rispetto non solo al codice di diritto canonico e alla dottrina e alla liturgia cattolica romana ma anche dei dogmi fondamentali del cristianesimo. Il governo italiano ha proclamato ben cinque giorni di lutto nazionale – quando il papa più mediatico della storia, Giovanni Paolo II, ne ebbe “solamente” tre – in barba alla laicità dello Stato e con il non coperto proposito di depotenziare le manifestazioni per l’80° anniversario della Liberazione il prossimo 25 aprile, manifestazioni che tuttavia possono aver luogo «con sobrietà». Bontà loro.

Quasi nessuno si è veramente soffermato ad analizzare la biografia di Bergoglio e il suo pontificato, un regno che ha scontentato un po’ tutti, progressisti e conservatori. E’ una operazione necessaria, proprio per rispettarne la figura e la persona. Bergoglio è stato intimamente un conservatore e il suo ruolo come provinciale dei gesuiti dell’Argentina durante la dittatura militare è tuttora oggetto di discussione e polemiche. Come Arcivescovo di Buenos Aires ingaggiò una dura battaglia politica contro la presidente argentina Cristina Fernández de Kirchner per impedire l’approvazione della legge che consentiva i matrimoni tra persone dello stesso sesso nel paese sudamericano. Come papa ha definito i medici che praticano gli aborti come «sicari» con le donne che lo ingaggerebbero per risolvere «un problema», si è espresso contro le donne «che vogliono fare gli uomini», ha escluso le stesse dai ministeri ecclesiastici (il fatto che abbia chiamato una suora a capo di un Dicastero pontificio – pur notevole – non conta: anche un qualsiasi laico in teoria può aspirare a quell’incarico), descrivendole come nevrotiche, pettegole, più interessate ad avere animali domestici che figli.

In un fuori programma aveva pronunciato le famose parole «chi sono io per giudicare?» rivolto alle persone LGBTQ+ ma non ha mai cambiato la dottrina in proposito. Il papa può dire quello che vuole, ma la Chiesa romana è estremamente formalistica e finché le cose non sono scritte e promulgate niente può cambiare. Si era scagliato contro la fantomatica ideologia gender, definendola «nefanda, pericolosissima e manifestazione del male, una guerra mondiale contro il bene», stigmatizzando la «frociaggine» che pervaderebbe la Chiesa e i seminari.

Ha tuttavia sempre predicato incessantemente per la pace (quasi un obbligo della carica che ricopriva, ricordiamo anche Benedetto XV e Giovanni Paolo II che sicuramente progressisti non erano), figlio di emigranti è entrato in conflitto con i governi occidentali per la dignità e i diritti dei migranti ed è stato costantemente molto critico verso il capitalismo e la proprietà privata (anche qui non una novità assoluta, ricordiamo l’enciclica Popolorum progressio di Paolo VI) e contro gli effetti della globalizzazione neoliberista. E’ stato un Vescovo di Roma abbastanza ecumenico, andando oltre certe rigidità precedenti, specialmente nei confronti delle Chiese orientali. Ha messo un freno a scandali e ruberie nella Curia romana. Tutti aspetti che come protestanti abbiamo sicuramente apprezzato.

L’equivoco nasce a monte: pensare che il capo di una istituzione come la Chiesa cattolica romana potesse andare oltre dogmi e mentalità millenarie e rivoluzionarla. Il più potente ostacolo a un vero ecumenismo e a una vera riforma della Chiesa romana è proprio la figura del papa, a prescindere da chi ricopra temporaneamente la carica.

Bergoglio non è stato un rivoluzionario, ma, forse, un moderato riformatore benintenzionato. Nella geografia politica della Prima Repubblica si sarebbe definito un fanfaniano, un fautore di un moderato centro-sinistra senza strappi. E’ sicuramente stato poco amato dai conservatori ma definirlo un progressista è un grave errore di analisi e di prospettiva. Un personaggio complesso e anche controverso, che ha deluso chi voleva una impossibile rivoluzione in Vaticano e atterrito chi auspicava un altrettanto impossibile ritorno alla Chiesa tridentina, pre-Concilio Vaticano II.

Quello che era cambiato, rispetto a Ratzinger, è stato lo stile, la comunicazione: uomo del popolo, il pontefice amava stare in mezzo alla gente, cosa che ha testimoniato fino all’ultimo e non rinchiuso in una torre eburnea. Ma volerlo scambiare come un leader di sinistra non mostra rispetto verso la persona e testimonia lo stato miserevole in cui la sinistra politica, in Italia e altrove, si è ridotta.

Andrea Panerini

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