“Anatomia della battaglia”, di Giacomo Sartori, TerraRossa Edizioni (Bari, 2025), pag. 270, euro 17.90
Pubblicato per la prima volta da Sironi, vent’anni fa, torna in libreria il romanzo più apprezzato di Giacomo Sartori, “Anatomia della battaglia”; questa volta è il marchio pugliese di Turi, TerraRossa, ha riconscegnarci la pubblicazione. Già pubblicato in Francia dalle edizioni Philippe Rey, uscirà negli Stati Uniti nel 2026 con Coffee House. La trama: “Un padre carismatico alpinista che ha fatto dei miti fascisti di gioventù un anacronistico modello comportamentale, e ora malato; una madre ossessionata dalle apparenze e mossa da un irrefrenabile vitalismo; un fratello votato alla perfezione e una sorella in fuga fin da bambina: il narratore osserva le loro anaffettive e inconciliabili solitudini e cerca di prepararsi alla morte del genitore, di comprendere da dove scaturisca la forza recondita del loro legame, come e perché per quell’eterno reduce di guerra il cancro sia solo una sfida privata e disprezzabile. E mentre il corpo del padre resiste strenuamente alla morte, il protagonista analizza il proprio lessico famigliare alla ricerca di spiegazioni e fa i conti con la vocazione alla scrittura e con i sotterranei moventi della propria adesione ai movimenti estremisti della sinistra negli anni ’70”.

Giacomo Sartori, é nato a Trento nel 1958, vive a Parigi, è agronomo. Fra i suoi romanzi più recenti: “Sono Dio” (NN, 2016, Foreword Indie Gold Award for Literary Fiction), “Baco” (Exòrma, 2019, finalista Premio Procida e Philip K. Dick Award) e “Fisica delle separazioni” (Exòrma, 2022, finalista Premio Chianti).
Tra le penne che hanno detto benissimo di “Anatomia della battaglia” è possibile annoverare l’esperta Helena Janeczek, che tra le altre cose ha scritto: “Anatomia della battaglia è forse uscito anzitempo rispetto alla fortuna delle autofiction con cui molti scrittori di prim’ordine hanno interrogato il lascito dei padri e i modelli di una mascolinità entrata in crisi. Di certo, rimane un testo scomodo per l’assoluta mancanza di autoindulgenza e la nettezza con cui fa emergere come l’uccisione simbolica del padre non disarticoli le strutture patriarcali ma, anzi, le propaghi”. Come molto interessante risulta pure l’affermazione di Stefano Zangrando, quando sottolinea che Sartori ha esplorato il fascismo come categoria dell’umano, come possibilità esistenziale sempre presente nell’uomo e pronta, in determinate condizioni storiche e sociali, a manifestarsi in tutta la sua imbarazzante ambiguità”. Senza dimenticare le recensioni, fra le altre, di Baldrati, Ciano e Davide Valentini.
Da leggere, o rileggere.
Nunzio Festa