Stamattina avevo un attimo di tempo e mi sono messo a fare il filosofo e ho inventato un paradosso e ovviamente l’ho chiamato col mio nome, il “Paradosso di Salvatti” e poi ci ho ragionato sopra come facevano appunto gli antichi filosofi. Eccolo.
Mario è molto povero e sa che tra pochi giorni compirà gli anni Pietro, suo grande amico che invece è molto benestante. Mario vorrebbe fargli un bel regalo ma non ha le possibilità economiche. Allora una notte Mario entra in casa di Pietro e gli ruba dal portafogli 100 euro, il portafogli è pieno e Pietro neanche si accorge della somma che manca, anche perché Mario entra con le chiavi data la fiducia riposta da Pietro in Mario. Mario ha commesso oggettivamente un furto e dunque, rispetto al Mario onesto, questo atto lo pone al di sotto di una persona neutra, è tra coloro che sbagliano. Sì, ma a quel punto Mario poteva tenere i soldi per sé, in qualche modo erano suoi, poteva usarli per uscire a cena ed essere felice. Invece lì spende per fare un regalo a Pietro, il quale è felice, cosa che non sarebbe stato se non gli avesse fatto il regalo e avesse avuto senza saperlo cento euro in più. In questo modo Mario prima ha sbagliato e poi ha fatto una buona azione, dunque, ammesso che una annulli l’altra, Mario è tornato neutro, mentre se non avesse fatto il regalo Mario sarebbe stato in debito di un regalo con Pietro (che se lo sarebbe aspettato), dato che appunto ha usato soldi suoi che avrebbe potuto usare per altri fini egoistici per rendere felice Pietro. Ne consegue come paradosso che rubare sia stata una buona azione e abbia reso Mario una persona migliore che ha dato qualcosa di suo rispetto a sé fosse stato onesto.
Ora ragiono su questo mio paradosso, un esercizio di ragionamento morale, perché gioca con i concetti di giustizia, altruismo e proprietà. Cerco di scomporlo logicamente e di analizzarlo dal punto di vista filosofico.
Analisi logica
- Il furto – Mario compie un atto moralmente e legalmente condannabile: ruba 100 euro. In termini kantiani, ha violato la regola universale del rispetto della proprietà altrui, quindi è un’azione moralmente sbagliata.
- Il dono – Mario usa i soldi rubati per comprare un regalo a Pietro, il quale ne trae felicità. Se guardiamo solo l’esito, l’azione sembra positiva: Pietro è felice, e non ha perso nulla (anzi, ha guadagnato un regalo).
- L’annullamento del debito morale – Se Mario avesse usato quei 100 euro per sé, il furto sarebbe stato puramente egoistico. Invece, avendoli usati per il bene di Pietro, sembra aver “compensato” il danno. In questa logica, il gesto del furto non è più un male netto, perché il beneficiario (Pietro) non solo non è danneggiato, ma è persino avvantaggiato.
- L’elevazione morale di Mario – Non solo il furto si è annullato con il regalo, ma Mario sembra anche migliore di un Mario onesto che non avrebbe fatto il regalo. Paradossalmente, il furto lo ha reso moralmente superiore all’onesto, perché ha sacrificato qualcosa che avrebbe potuto tenere per sé per il bene dell’amico.
Considerazioni filosofiche
- Utilitarismo vs. Deontologia
Se applichiamo il criterio utilitarista (valutare le azioni in base alle conseguenze), allora Mario non ha prodotto alcun male netto, anzi, ha generato più felicità di quanta ce ne fosse prima. Quindi, l’azione risulta positiva.
Se applichiamo la deontologia kantiana, invece, l’azione è moralmente sbagliata in sé perché viola un principio universale: il furto è sempre sbagliato, indipendentemente dal fine.
Il paradosso nasce dal conflitto tra queste due etiche. - Il problema della proprietà
Il paradosso tocca anche un aspetto più profondo della morale: cos’è davvero la proprietà? Pietro aveva 100 euro in più senza accorgersene e ha ricevuto un regalo che lo ha reso felice. Se la proprietà fosse puramente soggettiva (ossia, si possiede solo ciò di cui si ha consapevolezza), allora Pietro non ha mai “perso” quei 100 euro, perché non li ha mai percepiti come mancanti. Ma la proprietà è anche un concetto oggettivo, e Mario ha comunque sottratto qualcosa che non era suo. - L’illusione dell’annullamento morale
Se consideriamo il bene e il male come grandezze matematiche che si sommano e sottraggono, allora Mario avrebbe azzerato il male fatto con il bene. Tuttavia, la morale non è solo una somma algebrica di azioni: l’intenzione e il metodo contano. Se accettiamo che il fine giustifica i mezzi, apriamo la porta a un’etica dove il male può sempre essere “corretto” con un’azione buona successiva, cosa che ha implicazioni pericolose. - Il concetto di “sacrificio”
Un aspetto interessante è l’idea che Mario avrebbe potuto usare quei 100 euro per sé, ma ha scelto di spenderli per Pietro. Questo porta alla domanda: Mario ha davvero sacrificato qualcosa? Non era mai stato suo. La sua scelta, quindi, è una rinuncia a un vantaggio egoistico, ma non a qualcosa che fosse legittimamente suo. Il paradosso si basa su un’illusione di sacrificio che, in realtà, non esiste.
A ben pensarci, quindi, questo mio “Paradosso di Salvatti” è un esempio di come la morale possa essere manipolata se si guarda solo agli effetti senza considerare le cause e i principi. Se adottiamo una prospettiva puramente consequenzialista, possiamo arrivare a giustificare il furto come azione benefica. Ma se adottiamo una prospettiva basata sui principi, l’atto rimane immorale, indipendentemente dalle conseguenze.
La vera domanda è: vogliamo una società dove il bene si misura solo in base agli esiti, o una dove conta anche il rispetto delle regole? Il paradosso mostra che, se accettiamo che il bene e il male si annullino come numeri, allora possiamo giustificare molte azioni discutibili. Ma la realtà etica è più complessa: il valore morale non è solo una questione di aritmetica, ma anche di intenzione e metodo.
Ora però chiediamoci: chi glielo ha fatto fare? Mario poteva semplicemente non rubare, accettare di essere povero e non poter fare un regalo. Questo avrebbe evitato il rischio di compromettere l’amicizia con Pietro se fosse stato scoperto. In altre parole, il paradosso si regge sul fatto che Mario ha scelto di compiere un atto moralmente e legalmente scorretto senza alcuna necessità assoluta. Se Mario non avesse rubato, non avrebbe creato la situazione in cui “bilancia” il suo errore con un’azione positiva. Il problema etico nasce perché ha compiuto una scelta che non doveva fare. In un certo senso, ha messo se stesso in debito con Pietro, quindi il suo successivo altruismo è un rimedio a un errore che lui stesso ha generato.
Se prendiamo questo punto di vista, il paradosso si indebolisce: Mario non ha migliorato il suo stato morale rispetto a quello che sarebbe stato senza il furto, perché ha prima creato un problema e poi lo ha “risolto”. È come se una persona spingesse qualcuno a terra per poi aiutarlo ad alzarsi: il fatto che l’abbia aiutato non cancella la sua responsabilità iniziale.
Potremmo anche dire che Mario ha creato una trappola morale per se stesso: rubando, si è messo nella condizione di dover compensare. Se non avesse fatto il regalo, sarebbe stato un ladro egoista. Ma se non avesse mai rubato, non avrebbe avuto nulla da compensare. In questo modo, è stato lui stesso a “creare il bisogno” di essere altruista.
Possiamo dunque vedere questo mio “Paradosso di Salvatti” sotto due luci:
- Dal punto di vista consequenzialista (utilitarista), si può dire che il risultato è stato positivo perché Pietro ha guadagnato felicità senza perdere nulla.
- Dal punto di vista deontologico (kantiano), Mario ha agito male due volte: prima rubando, poi cercando di riparare al proprio errore con un gesto che non sarebbe stato necessario senza il furto.
Tuttavia, volendo, si potrebbe interpretare il comportamento di Mario come un sacrificio personale per la felicità del suo amico. Se accettiamo questa lettura, il Paradosso di Salvatti assume una nuova dimensione: Mario non è solo un ladro, ma anche un individuo che ha messo in gioco la sua libertà e la sua reputazione per fare un gesto altruista, quasi un martire dell’amicizia. Se lo leggiamo in questi termini, il suo atto potrebbe sembrare addirittura eroico: ha rischiato di perdere l’amicizia di Pietro se fosse stato scoperto. Ha rischiato conseguenze legali, persino la prigione. Ha scelto di mettersi in una posizione vulnerabile pur di dare qualcosa al suo amico. Questa interpretazione lo avvicina a una figura quasi cristologica: un individuo che si macchia di un peccato non per egoismo, ma per amore verso l’altro. Ma, chiediamoci, è davvero un sacrificio? Qui entra in gioco un’altra riflessione: Mario ha davvero sacrificato qualcosa di suo? Se avesse usato i propri soldi per il regalo, il sacrificio sarebbe stato reale. Invece, ha usato soldi non suoi, quindi non ha realmente perso nulla di valore personale. Il rischio della galera o della perdita dell’amicizia è un rischio autoimposto: se non avesse rubato, non avrebbe avuto alcun pericolo. Quindi, possiamo dire che il suo “sacrificio” è in realtà il tentativo di riparare a una situazione che lui stesso ha creato. Non è un martire dell’amicizia, ma qualcuno che ha scelto un metodo moralmente discutibile per esprimere un gesto affettuoso.
Il vero problema diventa allora: Mario ha reso felice il suo amico, ma lo ha fatto nel modo più rischioso e scorretto possibile. Se fosse stato scoperto, Pietro si sarebbe sentito tradito e non avrebbe più visto il regalo come un segno di amicizia. Il rischio che ha corso non è una prova di altruismo, ma di una pessima strategia morale.
Dobbiamo arrenderci al fatto che il “Paradosso di Salvatti” ci mostra che il concetto di sacrificio non è sempre quello che sembra: Mario ha corso un rischio per l’amico, ma è stato un rischio che poteva evitare del tutto. Se lo vediamo come un gesto nobile, è solo perché ignoriamo che lui stesso ha creato il problema.
Matteo Salvatti
Il paradosso di Salvatti è estremamente interessante: riporta i comportamenti a principi etici e morali che non possono/devono essere traditi.