Verso il culto della superficialità. Le letture che non devono fare male

Abbiamo appena scoperto, dai social certo, che il “giurato della domenica” Fulvio Abbate ha candidato all’edizione del 2025 del Premio Strega (letteratura: occorre specificarlo: sono nati anche quello per la poesia e, adesso, quello alla saggistica) l’ultimo romanzo dello scrittore – e attore – Fabio Volo; con tanto di motivazione, direbbe Pallavicini, scritta alla ‘situazionista’. Va bene. Abbiamo visto di peggio. Nel senso che abbiamo assistito, per dire, a vittorie di questo evento di libri-marchio abbastanza, per noi certo, discutibili. Ma è la storia dello Strega. Come quello di tante scrittrici e scrittori, e del loro giro d’amicizie, che da prima e dopo della famosa caduta di Pasolini probo a cercare sponde interne, si muovevano si muovono e si muoveranno per questo. Comunque la fortuna è che esistono ancora degli antidoti.

Qualche settimana fa ero in viaggio con un mio amico a Firenze, quando ho notato che una delle vetrinette della storica Libreria Giorni di via de’ Martelli esponeva l’edizione Mondadori del 1973 del romanzo di Pietro Di Donato, “Cristo fra i muratori”, più recentemente ripubblicato con traduzione di Nicola Manuppelli e prefazione di Sandro Bonvissuto, era il 2022, dalle meritevoli edizioni laziali Readerforblind. Piuttosto che parlare della trama del libro di Volo, insomma, ricorderei che negli anni trenta Di Donato entra nella letteratura civile dell’epoca con una prosa nata dal linguaggio parlato degli italiani immigranti negli States, quelli approdati con le grandi navi e superando il ‘viaggio della speranza’ d’ogni popolo del mondo che deve muoversi. Di Donato con il suo Geremio lo ricorderemo per sempre. Anche noi che abbiamo visto i grattacieli già lanciati verso l’alto senza aver dovuto partecipare con lagrime, sangue e sacrifici come manovali della loro edificazione.

Comunque Abbate gioca; nel suo mondo di posizionamenti. Mentre nel frattempo Trump e Musk e gli altri oligopolisti che li tengono in mostra stanno decidendo davvero, come si dice, le sorti del mondo; mentre, al contempo, persino l’ovviamente da noi dimenticato Farage sta recuperando terreno nella politica attuale. Ed ecco che qui, proprio qui, serve, nonostante siamo dentro l’Italietta, l’Italia pur sempre ancora clerico-fascista, l’imponente romanzo dell’autore militante Paolo Grugni, “La trappola. Diario d’Italia. Gli anni della contestazione e di Piazza Fontana” (Laurana, Milano, 2024, pag. 731, euro 24.00). “

«Questa è la mia storia. La storia di un commissario di Pubblica Sicurezza a cui, suo malagrado, è stato dato il compito di tramandare una molto più grande della sua, quella dell’Italia. Questo è il mio diario e quella che leggerete è la verità, come io l’ho vissuta e appresa. Ci vogliate credere o no, le cose sono andate così». L’avvincente antefatto narrativo, è questo. Seguito dalla puntuale descrizione, diciamo: «La trappola è una narrazione avvincente ma al contempo un romanzo-verità, che ricostruisce in maniera rigogliosa e dettagliata gli anni 1968-69. Anche attingendo a diversi documenti inediti come le lettere di Pino Pinelli e degli anarchici arrestati». Grugni c’ha sempre sconvolto, per fortuna. Anzi grazie alla sua bravura. Abbiamo ancora in testa “L’odore acido di quei giorni”. E “L’Antiesorcista”. E “Darkland”. Ma certe sue poesie imprendibili. Grugni, che in Germania accompagna visitatrici e visitatori nei campi di concrentamento e in altri pezzi di Storia, carte alla mano, come si suol dire, da decenni lavora a scriverci la verità. La lettura dei suoi libri può far male. Epperò necessità.

Nunzio Festa

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