“Inabissarsi” di Aldo Nove, Milano, Il Saggiatore, 2025, pag. 222, euro 18.00

“La poesia non eleva, e tantomeno, secondo un’espressione che ho sempre trovato stolta, ‘salva la vita’. La poesia inabissa.” Aldo Nove, dopo aver lasciato al mondo uno dei migliori libri di poesia dell’ultimo periodo, “Sonetti nel giorno di quarzo”, per i tipi di Einaudi nel 2022, davvero poco valorizzato in special modo per la sua carica pienamente anti-sistema – dove il sistema era la critica feroce alle imposizioni del tempo della crisi pandemica -, torna con un’idea straordinaria: parlarci del respiro della poesia; la strada è segnata con tutti i tratti che hanno formato e permettono al poeta Nove di scrivere, quei maestri spesso ingiustamente tenuti in un angolino poco illuminato della memoria. E il cominciamento di questo saggio, percorso a metà fra la autobiografia e la semplice e pura messa in forma di antologia delle letture dell’autore, è un bel gioco: “Una sorta di tesoro verso cui cominciare a *”: con la troncatura, anzi il celare nell’appunto della nota, della parola chiave, del verbo che si fa titolo: Inabissarsi. Che non poteva precludere una premessa di questa fatta: “Lo schifo assoluto di questo momento storico, la vergogna quotidiana di essere passati alla forma più sofisticata ed efficace di dittatura, quella delle nostre menti, nella falsificazione di qualsivoglia idea di realtà, nell’efficienza e nell’idea di un’imprenditoria totalizzante come sostitutiva di ogni forma di umanesimo, ma anche ormai di umanità, mi spinge a raccogliere frammenti di qualcosa che percepisco di avere vissuto. Una sorta di ineguagliabile tesoro”. Come, ancor di più, ricordare che “Una poesia senza vita è nulla, oppure uno degli ennesimi giochi imperanti della finanza globale”. Appunto. Ed ecco che l’apertura termina col primo omaggio, quella al romagnolo trasferitosi a Milano, Elio Pagliarani. Epperò il primo, “vero” capitolo del libro è benedetto da una fotografia di Milo De Angelis da giovane, poeta che insieme a Franco Buffoni scopriremo essere stato uno dei suoi primi estimatori, anzi più esattamente, proprio uno dei primi veri maestri. Di vita. E di versi. Escamotage lirico, diremo, che aiuta Aldo Nove a narrare della sua crescita, del suo diventare, certo, poeta. Anzi prima di tutto lettore oggi capace di ‘spiegarci’, grazie a Ceronetti come pure a Rilke, Zanzotto, passando per Giudici e il suo adorato, oltre che poi grande amico Nanni Balestrini e finanché col meno noto Guido Ballo, e Giacomo Leopardi, perché la poesia quando c’è davvero ci fa sprofondare. Ed ecco che è il momento di inabissarsi. Parola verbale che il poeta calabrese Lorenzo Calogero, che Nove considera, altro fra le poche penne accorte, poeta di afflato europeo e di valore ancora poco compreso, incarnava. Ripartendo dalla necessità di fare chiarezza, comunque. Insomma se dovessimo prendere per buono che il metodo scolastico dell’obbligo di imparare le poesie a memoria faccia innamorare alla poesia, staremmo commettendo un grosso errore. Certo la scoperta di Aldo Nove delle poesie di Federico Camon, per esempio, non passa da lì. Tutt’altro. “Le poesie di Leopardi, di Pascoli, di Carducci, di D’Annunzio, di Marino Moretti, di Diego Valeri e di non mi ricordi chi altri – avverte Nove – che mi veniva imposto di imparare a memoria a scuola, non le volevo neanche leggere. Mi sembrava che impararle a memoria le deturpasse, che deturpasse la Poesia intera. Eppure tante le ho poi riprese da solo, le ho scoperte da solo e così molte di loro le ho imparate a memoria senza desiderarlo”. In mezzo a tutto questo magna, anzi per la precisione di frammenti che si fanno corpus unico, Aldo Nove cita i momenti di stesura di alcuni dei suoi libri. Senza dimenticare, in tutto ciò, l’importanza di George Trackl e di Celan. Di Neri. E perfino degli studi di Franco Bifo Berardi. Ché è “sempre una questione di respiro. Inspirazione. Svolta del respiro. Espirazione”. Ma in questo volume c’è davvero tanto altro. Tutta l’arte che c’è. Tutta la poesia dell’esistere. Esemplificata con parole di poetesse e poeti che mai dimenticheremo. Perché, certo, riprendendo Aldo Nove che a sua volta ci ricordava il testamento di Amelia Rosselli: “Io quando finisco una poesia tiro un respiro di sollievo, perché altrimenti soffoco. Riprendo a respirare, e poi daccapo. Con una nuova poesia.”.
Nunzio Festa