Valdesi, metodisti e battisti senza giovani: la crisi senza fine della FGEI

Un modello che ha fallito e ha inquinato il protestantesimo italiano

Dal 25 al 28 aprile 2024 scorsi si è svolto a Ecumene il XXIII Congresso FGEI (Federazione Giovanile Evangelica in Italia) legata alle Chiese della FCEI (Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia) e soprattutto al mondo valdese, metodista e battista. Forse è stato l’ultimo. Come hanno scritto il 19 giugno scorso i componenti del seggio congressuale (Marta Bernardini, Marco Fornerone e Marzia Scuderi) «da qualche tempo la Federazione si trova in un periodo delicato in termini di energie e gestione della sua struttura. Nonostante questo, il XXII Consiglio FGEI ha concluso il suo mandato accompagnando la Federazione fino al XXIII Congresso, che è stato un’occasione per riflettere con lucidità, e non poca emozione, sullo stato di salute della Federazione e su come immaginare il suo futuro. (…) Per il prossimo periodo non sono state quindi riconfermate tutte le consuete cariche previste dallo Statuto – in particolare il Consiglio – ma, dopo una profonda riflessione iniziata dal XXII Consiglio e sviluppata dal XXIII Congresso, si propone di proseguire il percorso con due gruppi di lavoro con compiti ben definiti nel documento programmatico: il primo che si occupi di revisionare l’assetto strutturale della FGEI e lo Statuto, il secondo che curi la rete giovanile tenendo conto di quanto emerso dai lavori congressuali. Il XXIII Congresso ha inoltre espresso la volontà di diffondere in modo ampio quanto sta attraversando la Federazione, le riflessioni che sono in corso e i tentativi di trovare nuove modalità di stare insieme nella fede, perché questo desiderio non è venuto a mancare ma si sta piuttosto trasformando.»

Fuori dal politichese fgeino: non ci sono più soci, le iscrizioni sono al lumicino e non vi sono più giovani che credono in quel tipo di progetto né che desiderano stare nel Consiglio di tale organismo. Già nel gennaio 2023 era stato comunicato che la rivista della FGEI “Gioventù Evangelica” veniva sospesa a tempo indeterminato «prendendo atto di una situazione di stallo che prosegue da molti mesi, durante i quali GE ha affrontato diverse difficoltà, senza riuscire a superarle» ovvero per mancanza di energia e di persone che intendessero portarla avanti, quantomeno gratuitamente.

La FGEI è nata nell’aprile 1969 dalla confluenza e dallo scioglimento delle organizzazioni giovanili valdesi, battiste e metodiste (FUV, MGB e GEM). Il periodo storico della nascita caratterizzerà fin da subito il carattere elitario, sessantottino e radical chic dell’organizzazione. Una commistione tra politica elitaria e organizzazione ecclesiastica che finirà per minare le stesse Chiese da cui i giovani (sempre meno) provengono. Ovvero un parlarsi addosso senza veramente impegnarsi per un radicale cambiamento sociale e politico in senso cristiano e nelle opere socialI, tranne le solite personali lodevoli eccezioni. Un fumoso discorso politicamente corretto (per la vetrina esterna, perché sia all’interno delle Chiese che della FGEI molte persone sono state discriminate, calunniate e bandite perché non appartenenti a certe “logge” interne o non rispondenti a certi standard molto più conservatori dell’immagine pubblica) che copre la predicazione della Parola di Dio, primario scopo di ogni organizzazione cristiana. Un adattarsi ai tempi che è solo una resa a discrezione alle ingiustizie del presente, un presente pieno di soldi pubblici (tramite la simonia che si chiama 8 per mille) e con associazioni e Chiese sempre più vuote. Lo stesso problema (al netto del non secondario – almeno per noi – tema religioso) che ha afflitto negli ultimi decenni la sinistra politica portandola all’estinzione culturale, partitica e numerica e alla resa verso un un capitalismo neoliberista sempre più totalizzante.

Una resa teologica, pastorale e politica che fu ben compresa dal compianto Paolo Ricca e che, nonostante il suo indubbio prestigio, non riuscì veramente a contrastare. Chiese sempre più anziane, non attrattive e ingessate in un formalismo neocalvinista che non porta da nessuna parte, un atteggiamento da “popolo prediletto da Dio” e “Israele delle alpi” che poteva avere un fondamento durante le persecuzioni medioevali e moderne ma che non ha più senso dal 1848.

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